Diamoci del noi. I legami che danno futuro al lavoro by Gian Maria Zapelli

Diamoci del noi. I legami che danno futuro al lavoro by Gian Maria Zapelli

autore:Gian Maria Zapelli [Zapelli, Gian Maria]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Egea
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Appare pertanto importante chiedersi: che cosa deve accadere perché vi siano cambiamenti che ricostruiscano modelli di coesistenza sociale basati sulla solidarietà e sulla cooperazione, sull’ascolto e sulla tolleranza, fondati su legami progettuali e di speranza tra le persone?

Che cosa deve accadere perché la cittadinanza organizzativa delle persone ritrovi senso e consapevolezza che nel lavoro non solo si producono beni e servizi, ma si produce anche se stessi?

La prospettiva autopoietica suggerisce quanto sia inefficace e debole una risposta che attribuisca all’ambiente esterno la responsabilità di cambiare perché si possa cambiare. Se il mondo che si vive, con le sue caratteristiche e i suoi accadimenti non è mai estraneo, ma sempre implicato e coinvolto nei bisogni e nelle funzioni neurobiologiche che regolano l’esistenza, allora cercare un cambiamento possibile richiede di interrogarsi su quali siano bisogni, funzioni e caratteristiche dell’identità, oggi sopite e indebolite, nelle quali sia presente la possibilità di un mondo differente.

Luhmann ricorda che ogni identità – che sia di un singolo o sia quella di una comunità di persone legata da vincoli e scopi – costituisce la propria vita nella delicata dialettica tra essere aperta e chiudersi nello scambio con l’ambiente6. Infatti quanto più un sistema è aperto al mondo circostante, tanto più riceve stimoli e informazioni che può rielaborare in decisioni, azioni e prodotti. Allo stesso tempo un eccesso di apertura diventa distruttivo, produce paralisi e smarrimento. È provato dalla ricerca neurologica che, quando le persone si trovano a dover affrontare un numero elevato di alternative nella presa di decisioni, aumenta lo stato di stress e di malessere emozionale. Sicché, quando la complessità dell’ambiente, la sua caoticità, la sua imprevedibilità diventano illimitate la mente e il suo sistema neurofisiologico devono mettere in atto strategie di sopravvivenza appropriate, strategie che quindi contengono e limitano sofferenze e sentimenti di perdita di controllo e paralisi. Ogni individuo, ogni sistema vivente, anche collettivo, per esistere produce una chiusura operativa necessaria a tracciare un confine fra l’enorme massa degli stimoli e l’elaborazione di quelli necessari alla sopravvivenza.

La distinzione tra ciò a cui si rimane aperti e ciò a cui ci si chiude costituisce dunque una condizione fondamentale nelle possibilità di cambiamento. Quanto più la chiusura è selettiva e grossolana, tanto meno si riceveranno stimoli e contenuti capaci di innescare processi di cambiamento. Ciò che sta accadendo, in questo presente frenetico ed emergenziale, è l’abdicazione della riflessione nel suo ruolo di vigilanza di questa apertura al mondo esterno. L’imporsi di modelli di comportamento reattivi e spontanei, il diffondersi di un’anestesia empatica, il propagarsi di un sentimento di precarietà sostengono una relazione con l’ambiente largamente dominata dalle strutture inconsapevoli e inconsce della mente, lasciando al pensiero una funzione operativa. Siamo di fronte a un presente che sta sacrificando la funzione ristrutturante, critica e introspettiva del pensiero, capace quest’ultimo di distanziarsi dall’automatismo emotivo e cognitivo per avvicinare aperture e domande che producono cambiamenti di valore.



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